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I giorni delle Rimanìe – cenni storici

Agli albori del  12° secolo, per la zona del “Supramonte” che comprendeva i paesi di Oveno, Cadine. Vigolo Baselga esisteva un’unica entità amministrativa per la gestione dei beni che si identificava nella “pieve”. Il Pievano, il Sindico e il Degano rappresentavano rispettivamente.

I vertici del potere religioso, politico e burocratico. A Baselga viveva il Pievano, mentre ad Oveno, che prese, proprio in quel periodo il nome di Sopramonte, viveva il Degano che era colui che per conto del Principe Vescovo, amministrava la giustizia ed esigeva le tasse che a sua volta, consegnava al Gastaldo, suo superiore, ed emissario dello stesso Principe Vescovo.

Nel mese di ottobre, al termine del raccolto, arrivava da Trento il Gastaldo per la raccolta delle imposte che in quell’epoca vennero tramutate per lo più in “Rimanie”, un termine che indicava l’insieme di beni in natura, che consistevano in prodotti della terra, casari, carne macellata, legname, ecc.

Coloro che erano obbligati a consegnare le Rimanie erano iscritti in un elenco (riportato nell’Urbario del 1205 avente per titolo “Liber Memorialis de Raciònibus del Supramonte de dominio Venerabili Espiscopo Tridentino ed Episcopatu”) che comprendeva nomi e soprannomi di contadini, artigiani, pastori nonché Arimanni. Questi ultimi rappresentavano dei nuclei di contadini liberi e autonomi non assoggettati a nessun tipo di proprietà feudale, nobiliare o religiosa e costituivano, in seno alla comunità, una delle classi sociali con determinati diritti e doveri e qualche esenzione concessa  a seguito di meriti conquistati sui campi di battaglia. Il loro ceto sociale era valutato in base alla vastità dei terreni che avevano avuto in affitto dal Vescovo, - privilegi concessi a seguito di conquiste militari – terreni che dovevano coltivare.

Quindi, Degano e Gastaldo si recavano nelle varie abitazioni per ritirare quanto dovuto al principe Vescovo.

Per ogni Rimania, venivano consegnati: quattro staròli (unità di misura dell’epoca) di frumento e quattro di segala, otto staròli di sorgo ed un’orna di vino, una pecora ed un formaggio del valore di 12 soldi veronesi, una gallina e un fascio di fieno.

La miseria, le pestilenze, le malattie, la mancanza di bracci da lavoro era la triste realtà nella quale i paesi del Supramonte vivevano e, quindi, non tutti erano in grado di consegnare il dovuto: molti erano gli artigiani o i contadini che in cambio delle Rimanie dovevano prestare la loro opera nei palazzi vescovili, in pagamento di quanto dovuto, pena l’arresto e la prigione. Pochissimi erano coloro che, invece, avevano la possibilità di versare il corrispettivo in “soldi veronesi” (moneta in corso all’epoca). Le tasse però aumentarono di anno in anno tanto che i residenti furono costretti a presentare una supplica all’Imperatore Federico II nella quale vennero denunciati i soprausi e gli aggravi fiscali che la popolazione subiva da parte del Gastaldo per conto del Principe Vescovo. Il momento politico è particolarmente favorevole per gli abitanti di Sopramonte poiché l’Imperatore Federico II sta per effettuare una spedizione in Italia contro i comuni lombardi. Per garantirsi la sicurezza sulla via di Trento per la Germanica, Federico II è deciso a limitare i poteri del Vescovo di Trento e può accogliere di buon grado le richieste di questi abitanti.

In una lunga lettera dell’aprile 1236, inviata ai fedeli di Sopramonte, tra l’altro, conferisce agli stessi un privilegio nel quale ribadisce l’ammontare delle Rimanìe e, pur riconoscendo i diritti vescovili, li prende personalmente sotto la propria protezione.

Oltre all’aspetto delle Rimanie, che pesava notevolmente soprattutto sulle classi più deboli, arrivano in paese proprio al termine della raccolta, alcune monache appartenenti al Monastero di S.Anna, un’eremo sopra l’abitato di Sopramonte dove le stesse vivevano i ristrettezze e povertà.

Fu per questo che il Principe Vescovo Egnone di Bressanone scrisse ai fedeli del circondario “…di porgere offerte alle povere sorelle”. In cambio lo stesso assicurò 20 giorni di indulgenza per i peccati mortali e 40 per quelli veniali.

In quel tempo, essendo la Pieve di Baselga ed il Pievano ivi abitante, l’aspetto religioso, tranne qualche funzione officiata dallo stesso, era rappresentato dalla Confraternita dei Battuti. I loro adepti erano sottoposti ad uno stile di vita severo, fatto di penitenza e sacrifici, in grado anche di sopportare i colpi del flagello per l’espiazione dei propri peccati. I battuti si dedicavano ad opere di carità, assistenza e solidarietà. La Confraternita aveva il patrocinio del Principe Vescovo  ed aveva la propria sede nella “Cà di Dio”.

La rievocazione storica, ambientata e ricostruita fedelmente nel centro storico del paese, con pastori, contadini, artigiani, Arimanni e Battuti, impegnati nei rispettivi lavori, e proposta in ore serali nelle quali torce e candele illuminano i vecchi portici e avvolti, è accompagnata da un sottofondo di musiche medievali che creano un’atmosfera così particolare e suggestiva tanto da rendere la sensazione di un ritorno nel Medioevo.